Più robot in azienda. Ma chi li assicura? Il parere di Anna Fasoli
Bei tempi quelli in cui Isaac Asimov formulava le sue Tre Leggi della Robotica e si pensava fosse solo fantascienza.
Mentre termini come “circolar manufacturing” ( paradigma che associa nuovi modelli di business e tecnologici al principio di una logistica di ritorno per la gestione degli scarti di produzione) e “additive manufacturing” (grazie alla stampa 3D) compaiono con sempre maggiore frequenza anche nelle pubblicazioni dedicate non solo agli addetti ai lavori, è vero che con l’idea del robot in azienda e con la sua presenza costante, quotidiana nei processi produttivi dobbiamo imparare ad avere a che fare.
Spesso è alla Germania che si guarda come modello. Ma non sempre i modelli si possono esportare. O meglio, per farlo, non ci si può concentrare solo sull’aspetto strettamente tecnico. Perché una rivoluzione reale ci sia, e sia efficace, l’attenzione va posta a ogni elemento connesso.
Certo, ammetto di non credere alle rivoluzioni “rumorose”, fatte di grida, striscioni e slogan. Piuttosto a quelle “silenziose”, lente e inesorabili, quelle che sanno attecchire nel tessuto di una società.
Quanto ai robot nella manifattura o nella logistica, così come ai piccoli droni commerciali per monitoraggio o consegna, la mia convinzione è che si possa cominciare a parlare di vera rivoluzione solo quando, accanto ai temi tecnici, di programma, di strategia, si comincerà a parlare anche di quelli assicurativi, ovvero di responsabilità, di indennizzi, di “colpe” e assunzioni di rischio.
Solo a quel punto, infatti, potremo davvero dire che almeno la prima delle leggi di Asimov che recita “Un robot non può recare danno agli esseri Umani, né può permettere che, a causa del suo mancato intervento, gli esseri Umani ricevano danno” sia davvero soddisfatta.[/fusion_text]