Il teorema dei numeri primi
Ovvero quando ascoltare i dati per comprendere esigenze e bisogni del cliente
Di Anna Fasoli
Chiedo scusa a Legendre, Gauss e Riemann, e forse ancora prima a Euclide, se li chiamo in causa in materia assicurativa, strappandoli dall’empireo della matematica pura.
Eppure di numeri, in questo momento, anche il nostro universo professionale deve parlare. Non tanto per passare in rassegna quella mole elefantiaca di grafici, report, percentuali, schemi, diagrammi a torta o a colonna, che tratteggiano l’operato di ciascuna agenzia o compagnia, bensì per comprendere quali siano i reali, concreti bisogni dei clienti, in questo momento assolutamente particolare della crisi.
Se, come leggiamo ormai costantemente sui quotidiani nazionali e internazionali, lo stallo economico, questa sorta di palude delle cifre non smette e non smetterà ancora per molto; se il sistema pensionistico e quello sanitario vacillano sotto la scure dei bilanci che non quadrano; se i carrelli si svuotano e le previsioni parlano di un decremento di acquisto paragonabile, in Italia, ai tempi dell’ultima Guerra, ecco che ogni scelta diventa sempre più importante, perché si decide, con consapevolezza, di destinare le risorse verso una direzione, piuttosto che verso un’altra.
E la direzione, dicono i numeri, – questi sì dobbiamo saperli ascoltare e capire – muove verso un bisogno, persino un desiderio consapevole e in crescita di sicurezza.
Dunque il cliente assicurativo c’è, il potenziale fruitore di servizi esiste ed è persino divenuto più forte, nonostante e anzi a causa della crisi.
Illustro, a supporto di questo dato, tre ricerche, diverse tra loro tanto per fonte quanto per tematica, ma accomunate dall’evidenza finale. Conducono al medesimo risultato: c’è propensione all’acquisto di protezione, esiste una reale fame di polizze. Eppure aumentano le disdette e si fatica con le nuove sottoscrizioni, evidenziando così un paradosso tanto più assurdo in questa congiuntura, dove nessuna risorsa, nemmeno di desiderio, può essere lasciata inespressa.
Bisogni e risposte: le due rette che non si incontrano (mai)?
Per poter risolvere questo divorzio tra bisogni e risposte, non abbiamo altra strada che analizzare il problema, comprendendolo nelle diverse sfaccettature, grazie alle “fotografie” dei numeri.
La prima ricerca che cito, presentata durante un incontro Maestro, a Milano nel mese di ottobre, è stata condotta da IAMA 2012, per valutare “I comportamenti in evoluzione dei clienti assicurativi”.
Dal campione in esame è emerso che il 71,1% delle polizze sottoscritte dalle famiglie riguarda garanzie obbligatorie auto. Alla domanda esplicita rivolta agli intervistati se fossero o meno propensi all’eventualità di acquisto in futuro di una polizza non obbligatoria, la risposta è stata affermativa solo per un 4,9%.
La percentuale è bassissima.
Eppure, dice un secondo sondaggio, incentrato sul tema delle scelte finanziarie nell’ambito della famiglia, questa volta eseguito da IPR Marketing e pubblicato su Plus24, a differenza del passato, oggi solo una parte minoritaria di italiani (14%) opera scelte finanziarie – accantonamenti, piani integrativi e simili- , sulla base del passaparola. Quasi la metà si fa seguire da professionisti del settore, mentre ben un quarto di italiani dichiara di scegliere per proprio conto, dopo aver assunto le informazioni necessarie. Per la previdenza complementare, nello specifico, a fronte di un 25% di iscritti a un fondo pensione, c’è un 45% di intervistati che dichiara di considerare gli strumenti di previdenza integrativa utili per assicurarsi un futuro sereno.
Il che ci dice che, in questo momento, esiste un 20% netto di italiani che desiderano fare il passo, ma non hanno ancora deciso come farlo.
Nulla cambia Oltralpe, dove, secondo lo studio commissionato da Baromètre Groupama-OpinionWay e pubblicato su Le Monde il 25 novembre, ben il 54% dei nostri “cugini” francesi ritiene di avere una copertura insufficiente in materia sanitaria e il 41 % per il ramo vita. Eppure ben un terzo ha dichiarato di avere rinunciato alla sottoscrizione di una polizza, lo scorso anno, a causa del costo.
Insomma si rimarca l’evidenza del bisogno: l’81% del campione intervistato afferma di considerare l’assicurazione una protezione indispensabile a fronte di un contesto di crisi come quello attuale. Percentuale che è nettamente cresciuta rispetto anche solo ad un anno fa.
Dunque: da una parte c’è questa esigenza, il desiderio di mettere al sicuro il futuro, consapevoli anche della maggior fragilità del contesto economico e sociale. Dall’altra, scendono i “consumi” di polizze, rilevati da molte agenzie, dove non regge nemmeno il comparto delle protezioni obbligatorie, come la RC Auto, a causa dello tsunami che ha travolto il comparto.
Non c’è peggior sordo…
Inutile dire che c’è da interrogarsi e farlo molto, senza paura di prendersi le responsabilità, se questa autocritica potrà servire a sbloccare la situazione e a rimettere in moto il circolo virtuoso per cui a domanda (bisogni), segue risposta concreta (polizza).
La colpa, secondo l’opinione pubblica generale, è da imputare all’aumento delle tariffe. In Francia, lamentano gli intervistati, sarebbe la seconda voce di maggiore crescita, dopo il comparto alimentare. Eppure non credo, per quanto almeno mi offre l’osservatorio quotidiano entro cui mi muovo, che si tratti solo di una questione di costo.
Certo, le Compagnie non possono esimersi oggi dall’impiegare ogni sforzo possibile per contenere e calmierare i prezzi, pena la perdita di credibilità, oltre che di mercato.
Tuttavia la mia idea è che questa spaccatura tra esigenze e risposte, tra domande ed offerta, vada ricondotto ad una dimensione ulteriore che è quella della relazione, quella della trasparenza nel dialogo con il cliente, della fiducia.
Si tratta, di nuovo, di un grosso problema di comunicazione, esasperato, da un lato, da una immagine sclerotizzata delle compagnie assicurative come soggetti avidi e senza scrupoli, grandi macchinari dell’alta finanza, poco attenti alle sorti dei piccoli, comuni “portatori” di polizze; dall’altro, da una conformazione delle agenzie stesse, che, a differenza di banche e poste (oggi divenuti competitors anche in tema assicurativo), non hanno un accesso e una fruibilità così immediata.
Le nostre agenzie non vengono percepite come luoghi in cui entrare per chiedere informazioni, ma uffici dove andare quando già si è deciso, quando si è sicuri e si deve firmare, pagare.
Largo alla rete
Eppure noi non siamo così. Oggi le nostre agenzie non sono (o non possono permettersi di essere) propaggini claustrofobiche di un’organizzazione (la Compagnia) a sua volta troppo inaccessibile.
Invece siamo consulenti del rischio, grandi ascoltatori di tematiche e problemi anche personali, capaci di far confluire quelle “chiacchiere” sapienti e piene di esistenza di ciascuno in una costruzione invisibile di carte e postille, più forte e sicura di un bunker in cemento.
Per esercitare questo ruolo, che è specifico dell’agente, è però necessario far entrare la gente in agenzia. Dobbiamo far capire ai potenziali clienti che possono chiedere, chiedere a noi. Che daremo loro materiale da visionare, informazioni su cui riflettere e da comparare. Sì, da comparare anche con quella massa di contratti preformati che si vendono in Internet, dove, ti dicono, con un clic hai il preventivo e la polizza, senza magari avvisarti che quando scegli una cosa piuttosto che un’altra, anche la garanzia cambia. E molti clienti lo scoprono dopo, quando ormai è tardi, quando il sinistro è accaduto e non sapevano che cliccando, per esempio, percorrenza: 2000 km annui, se l’evento di incidente avviene quando di chilometri ne sono stati fatti magari 3000, ecco che una parte del risarcimento non è coperta dalla compagnia. E il cliente, per avere risparmiato magari 20, 30, 50 € all’atto della sottoscrizione del contratto, si ritrova a dover sborsare una cifra enorme al danneggiato. Ma non ha nessuno con cui “prendersela” se non un terminale video che lo sbeffeggia, nel suo colore azzurrino.
Comparare, dicevo, perché questo è fondamentale: permettere al cliente di fare degli appunti, di riflettere, chiamare, chiedere, ancora, fino a quando non si è convinto.
L’agenzia deve offrire questa possibilità, deve stimolare le domande. Attraverso le pagine social, su Facebook, dunque, su Twitter, ma anche con incontri ed eventi che abbiano come scopo quello di avvicinare le persone a noi, di dare loro la sensazione che chiedere è il primo passo necessario per dare concretezza a quel loro bisogno, trasformarlo in protezione.
Il piano complesso?
Tornando alla matematica e ai numeri prima, “la via più breve fra due verità sulla retta dei numeri reali passa attraverso il piano complesso” recita l’aforisma di Hadamard.
Un concetto, lo confesso, che rimane piuttosto astruso alla comprensione di chi non è “adepto” della “causa” matematica. Lo cito però per due ragioni: la prima è perché spesso anche il linguaggio assicurativo dà a chi ascolta questa sensazione, ossia di non essere comprensibile; la seconda, perché, intuitivamente, se ne coglie una sorta di suggestione molto affascinante e cioè che per quanto ciascuno, nelle parti di una relazione, si senta portatore di una verità, i punti di vista possono solo incontrarsi su un piano, un piano di lavoro, di scambio. Hadamard dice un piano complesso. A me, come agente assicurativo, piacerebbe pensare un piano …. semplice!