Nuove frontiere assicurative: il settore agroalimentare in Italia
È il “mestiere più vecchio del mondo” (beh, l’altro qui non ha pertinenza…) eppure quello più innovativo, la voce macroeconomica da cui sono scaturite grandi sfide, importanti conquiste e capacità di crescita, grazie a uno scatto in grado di tratteggiare, con la saggezza dell’esperienza e la lungimiranza dei numeri, le nuove frontiere dello sviluppo mondiale.
Questo articolo di Anna Fasoli viene pubblicato su Attualità del mese di febbraio 2013 e inviato a tutti i soci UEA, tramite newsletter di gennaio 2013.
Nuove frontiere assicurative
Il settore agroalimentare in Italia
È il “mestiere più vecchio del mondo” (beh, l’altro qui non ha pertinenza…) eppure quello più innovativo, la voce macroeconomica da cui sono scaturite grandi sfide, importanti conquiste e capacità di crescita, grazie a uno scatto in grado di tratteggiare, con la saggezza dell’esperienza e la lungimiranza dei numeri, le nuove frontiere dello sviluppo mondiale.
Ecco la fotografia più aggiornata del settore agroalimentare, quel comparto che, partito dalla terra, si è sviluppato nel corso dei secoli, industrializzandosi, dunque organizzandosi strategicamente.
Una prima evidenza che emerge dall’area europea come dagli altri grandi “granai” del globo (Brasile, Asia centrale e Africa Sub Sahariana in testa) è che cibo diventa sinonimo non solo di bisogno (per vivere), ma sempre più anche di qualità. Oggi caratteristica consustanziale alla permanenza di un prodotto sul mercato è un alto e accertato livello di qualità.
Se uno spartiacque tra passato e futuro va, insomma, cercato, lo si trova proprio in quella linea normativamente e concretamente specifica che ci parla sempre più di prodotti certificati, di Dop, Igp, di controlli che si attuano sul territorio che li produce, di direttive e regolamenti stringenti per la scelta dei fertilizzanti (in ripresa, fa sapere l’Istat, dopo anni “sonnacchiosi”, con un +12% nel 2011),di obblighi da rispettare nella distribuzione, conservazione, immissione sul mercato dei c.d. prodotti della terra.
Tra i dati rilevanti, quello reso noto a dicembre, dal 10° Rapporto di Ismea e Qualivita conferma questa valutazione, assegnando la leadership europea per i prodotti alimentari a denominazione d’origine al Belpaese.
Basti dire che sul totale di 1.137 marchi Ue sono ben 248 quelli riconosciuti all’Italia contro i 192 della Francia e i 156 della Spagna. Un volume di prodotti che, con 1,3 milioni di tonnellate, coinvolge ben 84 mila imprese, per un fatturato alla produzione di 6,5 miliardi di euro (+6,9% rispetto all’anno precedente) ossia, tradotto in un valore al consumo, di 11,8 miliardi (+5,5%).
Allora è da questa evidenza di orientamento che si comprende, come assicuratori, verso dove andare.
Pionieri da secoli
Da qui partiamo: la catena che conduce alla realizzazione del comparto conosciuto come agroalimentare certamente affonda le radici nella terra, ma si regge su un’impalcatura complessa e articolatissima di cui l’uomo è artefice e controllore.
Proprio in quest’area che ha di fatto strappato la terra dal caso (e dal caos), dalla fatalità, dal Risiko, rivelatosi devastante ancora alle porte di quel XX secolo che a taluni sembra assai lontano, si situa oggi anche il ruolo delle polizze assicurative.
Forti di una storia consolidata, che ha contribuito, nei secoli, a rafforzare il potere della intraprendenza e competenza umane, relegando ad un’importanza secondaria la furia della natura, oggi le Compagnie Assicurative hanno, a mio avviso, l’obbligo di tracciare un altro tratto di percorso: quello che metta in luce l’efficacia delle polizze di copertura nel settore agroalimentare come autentico volano per la crescita e la distribuzione, dei prodotti, capaci insomma di arrivare (anche molto lontano) là dove c’è domanda, e farlo in maniera garantita.
Anche perché di mezzo non c’è solo una sfida economica.
Di mezzo ci sono anche imperativi etici inalienabili, tra cui quello di evitare lo spreco inutile di cibo, quando continuano a morire di fame fette ampie di popolazione mondiale.
Un recente rapporto della britannica Institution of mechanical engineers (Ime) certifica che ben due miliardi di tonnellate di alimenti vengono distrutti, tra il 30 e il 50 % spesso senza neanche arrivare sulle tavole dei consumatori. E etica oltre che di sicurezza è anche l’attualissima problematica della contraffazione che viola le norme della libera concorrenza, creando danni pesantissimi per le aziende, oltre che mettendo a repentaglio la salute dei consumatori.
Dal gorgonzola prodotto in Svezia, al pomodoro San Marzano americano, passando per il Pamesao dal Brasile e il Salam Napoli realizzato in Romania, il tema della tracciabilità si afferma con forza e rivendica tutele a 360°.
Ho messo dunque sul piatto tutti i carichi da giocare e come si comprende anche solo a prima vista, è un banco che punta in alto, in altissimo. Ma senza l’ambizione (armonizzata ad una invidiabile concretezza e lungimiranza di sguardo) il nostro mestiere non sarebbe arrivato dove ora è e dove adesso attende di andare.
Polizze grandine, bestiame, incendio, multirischio, ora anche la rc professionale e la rc prodotti
Quali sono stati, in passato, gli strumenti cardine che le Compagnie hanno implementato per andare incontro alle esigenze di agricoltori e allevatori?
Sicuramente le polizze grandine e quelle bestiame.
Si tratta di due “gioielli” dal punto di vista assicurativo, che hanno avuto un ruolo centrale nel permettere la metamorfosi dall’appezzamento di terra in azienda agricola, in impresa, in vera e propria multinazionale.
Un passaggio che si è fortemente consolidato soprattutto a partire dagli anni Novanta del XX secolo e che, nell’ultimo decennio, ha segnato un autentico boom della produzione agroalimentare. Si tratta di un settore che, come ha di recente ricordato anche l’ONU, ha ripagato ampiamente gli investimenti fatti.
È chiaro che sottrarre un raccolto o una mandria alle bizze del caso, agli eventi atmosferici, alla furia di un morbo che si diffonde, decimando rapidamente le bestie, segna uno dei tratti fondamentali del passaggio.
Ma oggi?
Oggi quali sono le insidie da cui tutelare il comparto agroalimentare? Quali richieste dobbiamo attenderci dai nostri clienti, che lavorano e producono lungo lo Stivale?
D’istinto la mia risposta è: proponiamo la diffusione delle polizze RC professionale e alle Polizze Prodotti.
Perché? Perché il nostro spazio di movimento si situa all’interno di quella catena sempre più complessa di circostanze, per cui da un singolo gesto, da una singola scelta in ambito professionale – penso agli agronomi, agli enologi, ai periti specializzati negli innesti di piante – può determinarsi, per un errore in apparenza anche veniale, un ciclo a catena di conseguenze che rischiano di assumere proporzioni devastanti. La famosa catena dell’effetto domino, mai così attuale. Ed è un dato che si motiva a maggior ragione sapendo che, secondo gli scenari attuali, in Italia, (di nuovo è l’Istat a fotografarne la consistenza), spetta ad un esiguo, ma evolutissimo 4,5% delle imprese agricole realizzare ben il 55,5% del valore aggiunto. Sono quelle con fatturato superiore a 100mila euro e assorbono, da sole, il 22% dell’occupazione. Tra l’altro, nelle aziende con giro d’affari superiore a 500mila euro, la produttività del lavoro è superiore di quattro volte rispetto al resto del sistema imprenditoriale.
Da Nord a Sud: le differenze attraversano lo Stivale
Territorialmente si nota uno squilibrio lungo la nostra penisola: più grandi sono le aziende che operano nel Nord-ovest un’area dove è realizzato, secondo il report Istat, ben il 49,3% della produzione e il 44,6% del valore aggiunto. È al Nord che le aziende assorbono il 23,9% del lavoro dipendente pari quasi al 29% del costo del lavoro complessivo. Le aree del Sud-Italia arrancano: il 59,3% delle aziende infatti realizza il 34,4% della produzione e il 39% del valore aggiunto.
Un lavoro, non va dimenticato, che conosce una contrattualistica particolare e si caratterizza con una stragrande maggioranza di contratti a tempo determinato e familiare (poco meno del 4% delle giornate viene effettuato da lavoratori a tempo indeterminato).
Un ultimo dato interessante: aumentano i fatturati se aumenta la c.d. multifunzionalità. Che significa che laddove le realtà produttive svolgono anche attività di trasformazione, commercializzazione e prestazione di servizi, hanno margini di ricavo e di guadagno davvero più consistenti (per ora un fenomeno che coinvolge solo l’11% delle aziende).
C’è, dunque, un’amplificazione, sicuramente un’amplificazione positiva, cui però fa da contralto un’ombra più estesa. Se, insisto, un evento dannoso si determina, a causa di un errore nel ciclo produttivo, ecco che quest’errore varcherà rapidamente le frontiere, diffondendosi a macchia d’olio.
Allora si apre qui uno spazio dove l’assicuratore può mettersi dalla parte del cliente impresa. L’assicuratore può offrirgli una consulenza che lo inciti a proseguire nel “territorio di conquista”dei mercati, ma affiancandolo.
Lo potrà fare offrendo una copertura assicurativa ai professionisti che lavorano per l’azienda, anche quando l’azienda se ne incarichi direttamente.
Lo potrà fare con un’azione mirata sulla filiera di distribuzione del prodotto.
Solo così, credo, l’azienda avrà sufficiente fiducia per implementare e espandere ancora il proprio raggio di azione. Ancora una volta le compagnie assicurative sapranno stare dal lato del progresso consapevole.
Lo squilibrio climatico e i nuovi rischi
Se è vero che l’agroalimentare vince e convince, però non è interessato solo da buone notizie. Il trend di crescita, stando a stime recenti dell’ONU, sembra parzialmente destinato a scendere, fino al 2021, con un incremento pari all’1,7% annuo contro quello finora registrato del 2,6%.
La causa è da imputare principalmente a uno sfruttamento non sostenibile dei terreni. Tuttavia, precisa un rapporto FAO, i paesi con i tassi d’investimento agricolo più elevati sono stati anche quelli che hanno fatto i maggiori passi avanti in termini di dimezzamento della fame e dunque di benessere. Investire in agricoltura ripaga, ma deve essere un investimento coordinato e mirato ad un risultato complessivo di avanzamento economico e sociale e di sostenibilità ambientale.
Ecco un altro termine importante per la progettazione del ruolo delle compagnie assicurative nell’immediato futuro. Quello della sostenibilità si lega infatti ai temi catastrofali, a quell’impronta deleteria che l’uomo ha lasciato sul territorio, depredandolo. Lo scorso anno, durante la Conferenza Rio+20, il grande colosso Allianz spiegava con estrema chiarezza come non potesse gravare soltanto sulle compagnie assicurative il costo globale di un fenomeno, che di fatto compete agli Stati e alle politiche internazionali calibrare. Insomma non potranno diventare le compagnie di assicurazione i soggetti obbligati a farsi carico di eventi di estrema forza e distruzione (terremoti, tsunami, inondazioni) che, allo stato attuale delle cose, purtroppo non possono più essere etichettati come eccezionali.
Sarebbe auspicabile però che a simili tavoli di trattative sedessero sempre anche rappresentanti dei gruppi assicurativi.
Non è quanto fecero, seppure seguendo le abitudini dell’epoca, quando le navi verso le nuove colonie si preparavano a salpare dal porto di Londra o Lisbona?
Anche allora le tracce dei contratti prendevano forza dal sale, dal timore, dalle speranze e dal vento. E a disegnare il vento, come scriveva Emilio Salgari, che di avventure se ne intendeva moto, ci proveremo (un po’) anche noi.
Anna Fasoli
Socio UEA