L’anomalia che crea vergogna. Il parere di Anna Fasoli
64,8%: a tanto ammonta la pressione fiscale sulle imprese in Italia. Un dato che ci fa balzare al primo posto nel mondo.
Ad attestarlo il rapporto “Paying Taxes 2016” di Banca Mondiale e Pwc, diffuso il 19 novembre scorso.Una precisazione che scrive nero su bianco quanto già gli imprenditori italiani sperimentano quotidianamente: un flusso di denaro che esce troppo rapidamente dalle casse e che impedisce nuovi investimenti, progetti.
Così si perde di competitività. Così si rallenta il processo di modernizzazione. Così si uccidono anche le energie emotive di chi si trova in una sorta di “prima linea”, sebbene non bellica, ma comunque di combattimento.
Di crisi economica hanno parlato, e ancora parlano tutti. Di politiche di aiuto, di sostegno anche. Ma di questo? Di questo carico che grava come un macigno costante per l’imprenditore si fatica a parlare.
Eppure bisogna che lo si faccia, e lo si faccia con costanza, e meticolosa attenzione. Persino, direi, senza prudenza. Perché è un’ombra gravosa, questa richiesta da parte del fisco, una “mano nera” che azzanna quell’energia che già di questi tempi si fatica a trovare. Energia creativa, propositiva, di idee, di progetti. Appunto: imprenditoriale. Perchè l’impresa è questo, prima di tutto: una “attività economica organizzata ai fini della produzione o dello scambio di beni o di servizi”. Non il “bancomat” di un paese, di un governo, di uno stato. Semmai la sua ossatura ossatura solida, il suo sistema scheletrico. E se svuotiamo le ossa, in una perversa operazione di “osteoporosi autoprocurata”, il solo risultato che ci si può attendere è di sentirsi molto, troppo, insopportabilmente fragili.
Allora, mentre le imprese lavorano, che anche la politica si impegni a velocizzare il processo che liberi dal carico esagerato le cellule di funzionamento dell’economia nazionale. Così da accorciare quella indicibile distanza che il nostro paese mantiene, in materia di prelievo fiscale sulle attività produttive, dal dato europeo (40,6% media europea e Paesi Efta) e da quello mondiale (40,8%).