Le polizze assicurative racconteranno il mondo?
di Anna Fasoli
Gli eventi che si avvicendano di continuo e che caratterizzano ormai il quotidiano della nostra economia si intrecciano con intensità esponenziale alle tematiche tipiche dell’assicurazione.
Se fino a qualche tempo fa, soprattutto tra i clienti privati (e in assenza di obblighi di legge), l’assicurazione costituiva uno strumento usato per lo più dai “prudenti”, da chi proiettava un immaginario di insicurezza, qualche volta persino ridicolizzato, oggi nessuno si sentirebbe più di negare che l’instabilità è divenuta parte della nostra esistenza e, come tale, va conosciuta, affrontata e circoscritta.
Il vero nodo di attualità è come.
Un nodo, un ruolo
Come si può creare una realtà sostenibile, ossia che permetta alle assicurazioni di continuare a fare il proprio mestiere e ai soggetti di non trovarsi scoperti di fronte agli imprevisti? Come realizzare un equilibrio dinamico, una sorta di equilibrio nel disequilibrio, – mi si passi il gioco di parole – non certo affidato al fato, al caso, che non rientra nelle logiche assicurative, se non come variabile da “imprigionare” e per quanto possibile regolarizzare attraverso calcoli di statistica?
Impresa non semplice, certo. Eppure affascinante.
E dico affascinante perché il nostro lavoro lo è o, almeno, lo può essere moltissimo. Affascinante, poliedrico, attraversato da sfumature di attenzione, di tensione, certo, di alea, ma così intrinsecamente legato alle dinamiche umane da comunicare, ad ogni scelta, decisione, un po’ di quello scintillio che accompagna ogni gesto creativo.
Ed è questo il primo punto cui volevo arrivare: alla creatività. Creatività che noi assicuratori dobbiamo saper mettere in campo. E non si tratta certo di una scelta “artistica”, bensì di una necessità.
Una necessità dettata dal mercato, lo sottolineo, dal mercato inteso come somma multiforme di soggetti che a noi si indirizzano e che, come ha scritto Jonathan Gottschall1, hanno una caratteristica unica rispetto al resto del mondo animale: hanno bisogno di narrazioni.
Hanno bisogno, cioè, di qualcuno che spieghi loro un percorso logico, sapendoli attrarre anche suscitando la loro immaginazione.
Non spaventatevi, non sto entrando in temi degni dell’Amleto di Shakespeare. Mi muovo invece in quel terreno che appartiene da anni, decenni persino, alle università di economia straniere, americane, certo, ma anche francesi. E siccome è in Francia che ci porterà questo nostro viaggio di studi, è al tessuto d’oltralpe che ho indirizzato il mio sguardo, assicurativamente parlando, e le cose che ho scoperto mi sono sembrate molto acute.
Acute nella misura in cui, forti di secoli di individualismo, di cultura del soggetto e di ideali razionali, il mercato e il pensiero francesi (mai davvero disgiunti) hanno chiaramente improntato le azioni su un assioma fondamentale, ovvero che i mercati sono fatti di esseri umani, non di segmenti demografici. E questi esseri, proprio in quanto umani, vogliono informazioni, certo, ma informazioni coordinate, dunque chiamiamole, con un termine ormai d’uso nel marketing, narrazioni.
Tanto che Gottschall è arrivato a dimostrare come l’evoluzione della specie umana possa leggersi come funzione stessa della sua capacità di non solo di raccontare, ma anche di ascoltare storie.
L’assicuratore-narratore
È vero che una volta, dire che qualcuno (un assicuratore poi!) “raccontava storie”, nel gergo comune non proiettava una buona luce sul soggetto in questione.
Una volta.
Ora le cose sono cambiate. E lo sono nella misura in cui la creatività cui accennavo, intesa dunque come capacità di immaginare situazioni e prevenirle, di anticiparle e darne una visione al cliente, per condurlo verso una scelta contrattuale a lui più confacente, si intreccia ad una rigorosa conoscenza degli strumenti del proprio mestiere. La testa verso il cielo e i piedi ben saldi a terra, insomma. Ma non si può scegliere tra l’una cosa e l’altra.
Lo spirito pragmatico deve sposarsi intrinsecamente alla forza visionaria, riuscendo a proporre al cliente, all’utente finale, una soluzione coerente, adatta nel senso di adattata alla concretezza della sua reale situazione, dei suoi reali bisogni, e già ripulita da un eccesso di dubbi, scelte, interrogativi.
Una recente indagine Trends Monitor 3SC condotta dall’Istituto GPF, e riportata nell’interessante Existential Marketing di Paolo Iabichino e Stefano Gnasso2, ha evidenziato un crollo di ben 15 punti, nel corso degli ultimi tre anni, relativo alla capacità di gestire la complessità da parte dei cittadini italiani, preoccupati soprattutto del vivere con le incertezze e con gli imprevisti che la vita pone loro dinnanzi di continuo.
Dunque, questo, in senso assicurativo, che cosa ci dice?
Ci dice che offrire una rosa di scelta infinita e non vagliata, a monte, da noi, come consulente, anziché aiutare il cliente, lo confonde.
Ci dice che l’etica del nostro lavoro è caricarci di quella parte di fatica che va sollevata dal cliente. Intendendo con questo non certo che dobbiamo scegliere per lui, ma che abbiamo l’obbligo di vagliare, escludere, privilegiare a monte quello che si attaglia di più alle sue esigenze pratiche.
Insomma essere assicuratori prima ancora che farlo, come mestiere. Essere immersi in questa logica di pensiero anticipatorio, di sguardo acuto, ad evitare una miopia del settore che, caricato dall’idea che il consumatore finale, il cliente, volesse solo informazioni, ha troppo spesso abdicato al proprio ruolo di filtro. Finendo così per fomentare un clima di confusione da “eccesso di informazioni”, che ha involontariamente indotto negli ultimi anni, anche se ora la tendenza si sta invertendo, il cliente a prendere come bussola ultima nel mare magnum dell’incomprensibile, il prezzo. Ossia il prezzo basso, utile alle tasche dei comparatori, ma non a quelle dei…compratori, che si sono ritrovati spesso sotto-assicurati e quindi più poveri.
Il cliente va compreso. Compreso anche per ciò che non dice e non sa. Agendo in questo modo, l’assicuratore svolge un doppio, importantissimo ruolo. Innanzitutto, verso il cliente, che può continuare a “fare il cliente” e non si sente più costretto a dover conoscere ogni dettaglio tecnico del nostro lavoro, dettaglio, tra l’altro, che il cliente cerca di possedere non per curiosità personale ma spesso per diffidenza. Ma anche verso il tessuto sociale in cui opera. Perché, se l’agente si muove bene sul territorio, consigliando e invitando alla protezione i singoli, è chiaro che abbassa il livello di litigiosità e mitiga l’acuzie in caso si verificassero dei danni. Se, insomma, tutti i soggetti coinvolti in un evento negativo sono assicurati, ecco che non devono più agire e pagare in prima persona, ma delegano i professionisti che li rappresentano. E gestire un danno tra assicurazioni è assai più semplice che se sono coinvolti privati e loro patrimoni diretti.
Attore co-protagonista
A questo punto manca un tassello. Se ho finora insistito sull’importanza delle polizze come elemento capace di calmierare, nel cliente, sia l’ansia emotiva che i pesi economici scaturiti dal clima di incertezza generale, rivendicando il ruolo dell’agente-narratore, ecco che, in questo scenario, deve irrompere un altro attore co-protagonista: lo Stato.
Uno Stato che, oggi, non può più chiamarsi fuori dal gioco. Che non può, insomma, caricare il cittadino dell’alea del rischio, evitando di occuparsi di considerare, imporre anche, se necessario, per legge di quali strumenti dotarlo perché non si trovi scoperto.
L’estate appena terminata ci racconta molto su tutto questo. Raccolti distrutti nelle campagne per il maltempo, turismo flagellato dalla crisi e da un meteo impietoso. E ancora casse statali vuote, che ricorrono a tagli nella spesa sanitaria pubblica; regimi pensionistici pubblici incapaci di garantire per il futuro un livello dignitoso di vita. Poi terremoti, disoccupazione.
Non sto facendo del catastrofismo. La fotografia del presente può essere estremamente impietosa. Ma impietosa lo è se ci si consegna ad essa come fosse, appunto, un destino. Che destino non è.
A questo proposito, interessante è tornare al modello francese. Lo descrive perfettamente l’economista Nicolas Moinet, nel suo Intelligence economica3, quando afferma che “Lo Stato gioca un ruolo fondamentale sia nello sviluppo del sistema nazionale d’informazione in collegamento con il settore privato, sia nella definizione degli orientamenti strategici di massima del Paese, indispensabili alle imprese nella definizione delle loro azioni e delle loro previsioni”.
In materia assicurativa, per esempio, si è arrivati, già molti anni fa, in Francia a imporre l’obbligo di RC sulla casa, con la legge Alur (art 58,codificato all’art 9-1 della legge 10.7.65) che obbliga i proprietari che occupino o meno l’appartamento, a sottoscrivere una polizza contro i rischi di responsabilità civile. Quest’estate la cogenza si è estesa anche al condominio, relativamente alla coproprieté.
Una strada che prosegue in questa direzione in molti altri settori.
Ma perché questo spirito scatti e le riforme si facciano, è necessario un forte senso di coesione nazionale, che appunto hanno i francesi ma in Italia ancora traballa.
Tuttavia è il tassello necessario a noi per fare assicurazione.
È il tassello su cui devono puntare le Compagnie, da un lato, i cittadini dall’altro. Oggi insomma l’assicurazione diventa davvero il terreno in cui si gioca questa partita cruciale. Per il singolo, per il nostro business e per la storia anche.
Oggi in un tessuto tradizionalmente considerato a lungo (troppo a lungo…) di economia pura, ossia scambio contrattuale tra compagnia e cliente, deve irrompere in maniera decisa questo elemento che ha un peso culturale, sociologico, ed è il rapporto di fiducia tra cittadino e stato.
In altre parole, oggi è nella triangolazione Stato-Compagnie Assicurative-Soggetti che si determineranno gli equilibri futuri. Economici certo, ma soprattutto di civiltà. E i cittadini, anche a spese loro, cominciano a capirlo.
Non è un caso allora che sempre più clienti si rivolgano a noi per domandare informazioni relative alla sottoscrizione di polizze vita, sanitarie, di piani di previdenza integrativa. A segnalare che questa esigenza c’è, che è una “fame” che sentono. Solo che ogni cosa è ancora affidata all’imprenditoria del singolo, al suo attivarsi, entrare nelle agenzie, chiedere. Facendolo, però, già ci raccontano qualcosa. E attendono da noi una risposta.
Conclusioni
Spero di avere solleticato, con queste riflessioni, in voi l’attesa del viaggio, la curiosità, i pensieri e naturalmente anche le critiche, come sempre stimolanti e necessarie perché dalla carta si passi alle azioni, alle decisioni.
Perché di carta, è vero, sono fatti i contratti, le polizze, i documenti assicurativi. Pagine che, nel loro linguaggio di forma e precisione, hanno però, riconosciamolo, piccole scintille più intense ed emozionanti, quelle che scrivono e raccontano pezzi importanti delle scelte, del nostro e del loro (dei clienti) quotidiano.
Anna Fasoli
consigliere UEA